Novantadue – La Repubblica 01/05/2018 presentazione Rodolfo Di Giammarco

La Repubblica – 1° maggio 2018

Falcone e Borsellino in un “Novantadue” che arriva fino a noi

Rodolfo Di Giammarco

 

Due uomini lavorano chini sui fogli, è l’ultima notte trascorsa al riparo del carcere dell’Asinara, lontani da sguardi, domande, minacce. Stanno concludendo il lavoro di una vita, l’atto di accusa per il primo grande processo alla mafia. Sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due amici che condividono ideali, rabbie, paure. Li aspetta una guerra lì fuori, in un’aula bunker per 474 imputati, con ricostruzione di venti anni di crimini, violenze e corruzioni in una struttura accanto al carcere dell’Ucciardone. La sentenza della Corte di Cassazione, emessa nel gennaio 1992, che doveva essere una pietra tombale sulla mafia, fa capire bene il titolo del lavoro, “Novantadue”, che Claudio Fava ha scritto su quella memorabile messa sotto accusa di Cosa Nostra. Il testo da domani al Piccolo Eliseo, con protagonisti Filippo Dini (nei panni di Falcone), Giovanni Moschella ( nel ruolo di Borsellino) e Pierluigi Corallo (nelle parti di consiglieri e mafiosi, tra cui Vincenzo Calcara, il pentito che avrebbe dovuto uccidere Borsellino), è messo in scena dal regista Marcello Cotugno, per BAM Teatro.

Il racconto di Novantadue si dilata, lo sguardo di Fava scorre verso altri tempi, incontra le cose che si verificheranno in seguito, senza però accontentarsi delle verità che la storia ufficiale ci ha confezionato: da una parte gli eroi, i servitori dello Stato; dall’altra gli assassini mafiosi; e in mezzo, ipocritamente, il niente. L’autore non ingessa i due giudici in una dimensione di ricordo, ma li evoca e li coinvolge tra noi, in un tempo presente. Condannati a vivere, Falcone e Borsellino ripensano alle cose accadute, ascoltano gli altri, osservano le cose torbide che sono emerse col senno co con la dissennatezza di poi.

“Le omissioni, le complicità, i silenzi e le viltà che si sono accumulate da allora ai nostri giorni –  spiega Claudio Fava – sono un elenco di peccati innominabili, e ormai sappiamo che tra i rappresentanti dello Stato ammazzati e la follia omicida di Cosa Nostra, si sono mossi pezzi delle istituzioni, uomini dei servizi, ufficiali dei corpi speciali, funzionari pubblici e depistatori di professione. La condanna a morte era stata decretata non solo per volontà dei Corleonesi ma anche per scelta di una parte di quello Stato che i due magistrati credevano di servire e di tutelare”. La conseguenza è ce il teatro contemporaneo darà voce anche al mafioso killer che non obbedisce, deluso, annoiato dalle liturgie, dalle mezze verità, o farà parlare il Consigliere opaco

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Novantadue – Corriere del Mezzogiorno marzo 2016

Corriere del Mezzogiorno 20 marzo 2016

Dentro la città
A cura di Vanni Fondi
La recensione
I delitti di mafia in scena ricordano la tragedia greca
Marcello Cotugno trasforma una delle pagine più buie della storia repubblicana in un allestimento che ricalca nelle sue
linee essenziali i caratteri tipici della tragedia greca. Complice ovviamente la scrittura di Claudio Fava che realizza in
questo “Novantadue – Falcone e Borsellino 20 anni dopo” (in scena oggi alle 18 al Piccolo Bellini) un ordito narrativo
capace di tenere insieme cronaca dettagliata dei fatti e pathos, lacerante oggi come allora. Lo confermano gli applausi
finali del pubblico in piedi, un misto di tributo alla lucida efficacia degli attori ma soprattutto un omaggio alla memoria
dei due magistrati caduti in nome di uno Stato patrigno. Due figure, quella di Falcone e Borsellino (interpretati con
sorprendente verosimiglianza da Filippo Dini e Giovanni Moschella) che sin dalle prime battute rivelano la propria
predestinazione, proprio come gli eroi ellenici, conducendo la propria ostinata solitaria battaglia contro la mafia
consapevoli di una fine annunciata. Simili ad Achille o a Ettore, i due mostrano la propria forza svelando però anche le
proprie debolezze e le proprie paure, in un empito di umanità, che coinvolge anche un mafioso detenuto (interpretato
da Pierluigi Corallo), che dopo il maxi processo contro cosa nostra con sentenza del ’92, avverte Borsellino della sua
condanna a morte. Uno spettacolo per ricordare quindi, ma che rispetta il teatro, avvincente dalle prime alle ultime
scene, fra le quali notevole quella con il corpo di Falcone coperto su di un tavolo come il Cristo di Mantegna
S. de St.

 

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Novantadue – La Repubblica 07/05/2018 recensione Rodolfo Di Giammarco

La Repubblica – 7 maggio 2018
Novantadue – i giudici all’Asinara amici e vittime in pre-agonia

Rodolfo Di Giammarco

Com’è che fumano, bevono, scherzano, mettono a punto una sterminata istruttoria, confessano le loro paure, pensano alla morte, sanno di essere soli, e consumano ancora un vagone di tabacco e sorseggiano ancora caffè e alcol, e si sentono magistrati sotto chiave nel 1985 all’Isola dell’Asinara (lì spediti per congegnare senza noie le carte del più mastodontico processo italiano), com’è che si comportano nell’intimo, a pelle, due uomini con profondo senso della giustizia e dello Stato, che poi sette anni dopo, nel 1992, moriranno ammazzati= Su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si è detto, ricostruito, drammatizzato e sceneggiato molto, per memoria, per monito.
Ma un testo di Claudio Fava, “Novantadue”, a noi mancava, perché è una radiografia teatrale della spontaneità di due esseri umani, amici, compagni di lotta alla mafia e anche vittime designate dei poteri istituzionali infiltrati, doppiogiochisti. L’autore condanna a vivere i due giudici in cosciente pre-agonia, li accompagna nei due agguati, e ce li restituisce come identità pensanti. A gestire questa indeterminatezza di tempi è la regia strutturale e diacronica di Marcello Cotugno, alle prese con una delle sue messinscene più metronomiche, iconografiche, filosofiche. Però oltre alla partitura delicata ed epica di Fava, e al corrispettivo della macchina allestitoria di Cotugno, qui ci imbattiamo in attori capaci di prove strenue, di disincanto commovente e di onestà urlata. Filippo Dini è un Falcone di paurosa contemplatività, di gentilezza amabile, di coscienza delle ostilità ordite dall’alto, con un senso della fine che mette i brividi, finché lo vediamo coi piedi nudi steso in una morgue. Giovanni Moschella è una roccia di Borsellino che riceve il preavviso del tritolo a lui destinato maneggiando una sigaretta come il coltello del harakiri, e la sua lettera a una professoressa alla vigilia dello scoppio della 126 rossa è una favola nera. E Pierluigi Corallo ha tutta la fermezza complementare delle controparti mafiose, o della autorità contro. Un teorema, col marchio BAM Teatro, che dovrebbe replicarsi sempre.

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Novantadue – Gazzetta del Mezzogiorno marzo 2016

Gazzetta del Mezzogiorno 21 marzo 2016

Stasera all’ “Impero” l’attore in “Novantadue” con Dini e Moschella
Pierluigi Corallo nella sua Trani
In teatro nel nome di Falcone e Borsellino
Attore Pugliese – Pierluigi Corallo stasera sul palco nella sua citta di nascita con “Novantadue” scritta da Claudio
Fava

Pierluigi Corallo torna a Trani per recitare oggi al Teatro Impero della sua città natale nello Novantadue – Falcone e
Borsellino, vent’anni dopo. Lo spettacolo è una novità assoluta di Claudio Fava, giornalista e scrittore catanese, figlio
di Giuseppe Fava di cui sono interpreti Filippo Dini, nel ruolo di Giovanni Falcone, Giovanni Moschella, in quello di
Paolo Borsellino, mentre Pierluigi Corallo darà il volto a tutti quei personaggi del male coinvolti nell’uccisione dei due
magistrati. La rappresentazione di oggi a Trani (unica replica in Puglia) coincide con la XXI giornata della memoria e
dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, voluta da Don Ciotti e l’intenzione congiunta della
compagnia (BAM Teatro) e della direzione del Teatro Impero, con la volontà di marcare l’importanza di tale ricordo,
cui dà supporto il Presidio di Trani, già impegnato a sostenere attivamente sul territorio la cultura della legalità.
Il testo di Claudio Fava, scritto in occasione del ventennale della strage di Capaci e di Via D’Amelio, ripercorre gli ultimi
momenti della vita dei due magistrati, quando intuiscono di non avere più come alleato il tempo. È una corsa che parte
dalla loro ultima volta che si sono incontrati all’Asinara, dove furono inviati per completare gli atti finali del maxi
processo, entrato nella storia per essere stato il più grande processo celebrato contro la criminalità organizzata.
Pierluigi Corallo è l’occasione per tornare a recitare a Trani dopo lungo tempo, “dalla mia partenza per Milano, dove
ho frequentato la scuola di recitazione del Piccolo per intraprendere una carriera scandita dalla regia di grandi maestri
come Massimo Castri e Luca Ronconi, che mi hanno insegnato l’Abc, e non solo, del teatro”.
Una carriera sempre all’insegna di spettacoli di grande qualità e rigore come l’ultimo che l’ha visto sul palcoscenico
del Biondo di Palermo, Minetti di Thomas Bernhard diretto da Roberto Andò con protagonista un superlativo Roberto
Herlitzka, mentre questo Novantadue giunge direttamente a Trani dopo quattro acclamatissime recite al “Bellini” di
Napoli, “dove alla fine dello spettacolo – evidenzia Corallo – il pubblico agli applausi finali aggiungeva sonori
ringraziamenti, dandoti la certezza di averlo condotto a rifletter e profondamente”.
Poi, passa a spiegare il plot di Novantadue la tragica vicenda consegnata alle recenti pagine di storia, “ma lo spettacolo
va oltre, fuori dalla cronaca, lontano dalla commiserazione. Prendono forma e valore la forza di questi due uomini, di
questi nostri eroi contemporanei. Prendono forma e valore la forza di questi due uomini, di questi nostri eroi
contemporanei, la loro umanità, l’origine dei pensieri, il loro profondo senso dello Stato. È una riflessione, dopo
vent’anni da quella strage, che riapre il filone d’inchiesta delle trattative tra Stato e Mafia e consente di conoscere la
dimensione più autentica e quotidiana di Falcone e Borsellino e l’amicizia che intercorreva tra loro, senza togliere nulla
al senso della loro battaglia. Uno spettacolo che nasce da un’idea di militanza civile e umana, facendo apprezzare il
senso del teatro, uno stimolo”.
Di Osvaldo Scorrano

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Novantadue – Il Mattino marzo 2016

Il Mattino, 15 marzo 2016

Fava al Bellini
“Falcone e borsellino uomini non eroi”

Eroi moderni e classici al tempo stesso per la dimensione epica che anno assunto nel tempo, raccontati nella loro
solitudine e umanità, al di là del mito. Sono Giovanni falcone e Paolo Borsellino, i giudici assassinati da Cosa Nostra a
pochi mesi di distanza nel 1992 nelle stragi di Capaci e via D’Amelio a Palermo, protagonisti dello spettacolo che
approda questa sera al Piccolo Bellini, “Novantadue: Falcone e Borsellino, 20 anni dopo”. Regia di Marcello Cotugno,
Filippo Dini è Falcone, Giovanni Moschella Borsellino, Pierluigi Corallo veste i panni di un mafioso e di un consigliere
istruttore, il doppio volto del male. Il testo è firmato dal giornalista e scrittore e politico catanese Claudio Fava che
scava nell’intimità di due esseri umani, rappresentandoli al di fuori di ogni retorica nella loro ultima notte all’Asinara
nell’estate del 1985 dove furono inviati per completare gli atti finali del maxi processo contro la criminalità organizzata.
Fava, come porta a teatro la stagione delle stragi?
“Il testo non vuole raccontare delle stragi ma di tutto cioè che è rimasto sempre tra le righe nella storia umana di
Falcone e Borsellino, la loro amicizia, la solitudine, ma anche l’allegria e la voglia di vivere che avevano. Lo spettacolo
nasce dal bisogno di raccontare non eroi, ma amici che condividevano un senso viscerale del lavorare insieme. Si apre
con il racconto abbastanza divertito e paradossale della loro ultima notte all’Asinara. Le stragi restano sullo sfondo”.
Punta a sensibilizzare sul tema della mafia?
“Sì, ma senza essere didascalico né pedagogico. A teatro si chiede a chi ascolta di fare la propria parte, di essere
sollecitati non educati, e agli attori viene chiesto di mettere in gioco la loro anima ma la pedagogia va fatta altrove”.
Falcone e Borsellino sono riportati in un tempo presente?
“tornano a essere persone e si raccontano senza accenno a eroismi. È un inno alla normalità ma rappresenta ma
rappresenta anche la raggia che sta dietro all’allegria estrema, al senso di ironia e a tutte le altre componenti umane
che appartenevano a magistrati come loro, trasformati in icone ma attraversati da una profonda solitudine”.
Lei ha sceneggiato anche “I cento passi” sulla vicenda di Peppino Impastato, nel 2000. Un film che ebbe un forte
impatto emotivo sul pubblico, allargando l’attenzione ai temi della legalità. Oggi è ancora così?
“Sì, c’è interesse per questi temi anche se ogni tanto rischia di essere ammorbidito, non ci sono le grandi tensioni
drammatiche di anni fa ed è un errore. Bisogna tenere alta l’attenzione, e anche quando le mafie apparentemente
tacciono, non bisogna smettere di raccontare”.
Di Ida Palisi

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Novantadue – Repubblica marzo 2016

Repubblica marzo 2016

Piccolo Bellini – il dramma scritto da Claudio Fava rievoca la vicenda di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Novantadue

“Due uomini che lavorano chini sui loro fogli, scrivono con la fretta di chi sa che quella è la loro ultima notte prima di
lasciare l’isola nella quale si sono ritirati a preparare l’atto d’accusa per il primo grande processo alla mafia. Sono
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e il carcere dell’Asinara è il loro esilio volontario; lontano da sguardi, domande,
minacce lavorano per concludere il lavoro di una vita”. Claudio Fava traccia con poche parole il territorio in cui si svolge
il tempo rapido di “Novantadue, Falcone e Borsellino 20 anni dopo”, uno spettacolo prodotto da BAM Teatro in
collaborazione con il XXXVII Cantiere internazionale d’arte di Montepulciano e il Festival “L’opera galleggiante” e va in
scena questa sera (ale 21.15) fino a domenica al Piccolo Bellini. Protagonisti Filippo Dini, Giovanni Moschella e Pierluigi
Corallo, “Novantadue” è messo in scena dal regista Marcello Cotugno che la definisce “suo malgrado una moderna
tragedia classica”. Anni difficili e duri quelli che videro Falcone e Borsellino impegnati nella loro dura battaglia civile,
giorni cupi ed eroici per silenziosa fatica che Claudio Fava, catanese, giornalista e scrittore di razza ricostruisce
fermandosi “a una notte di verità necessarie tra due uomini, due amici che condividono lo stesso desiderio di vita e
l’identico presagio di morte, una notte in cui dirsi le cose a lungo taciute, confessarsi rabbie, allegrie, paure, come
quella di morire, perché no?, sapendo che fuori da quella prigione, da quell’isola, li aspetta una guerra che non hanno
cercato ma che ormai li reclama”. Notte d’importanti percorsi, nella drammaturgia che prende le sue mosse nell’estate
1985, nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara, in Sardegna. Qui Falcone e Borsellino erano stati segretamente e
repentinamente “spediti”, nottetempo, per ordine del giudice Caponnetto, per completare l’istruttoria del
maxiprocesso in cui erano impegnati e subito dopo l’omicidio di Ninni Cassarà, capo della squadra mobile di Palermo.
Così, cercando le parole giuste per dire e per immaginare, Fava ha costruito il suo percorso per raccontarci come
trascorsero quella notte i due amici magistrati, mentre “fuori da quella prigione, da quell’isola una guerra li reclama li
aspetta; così la scena si dilata e il nostro sguardo precipita verso altri tempi incontrando le cose che sono poi accadute,
con gli eroi, i servitori dello Stato, il bene da una parte e dall’altra gli assassini, i macellai della mafia, il male, e in mezzo
niente”.

Di Giulio Baffi

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Novantadue – L’Unione Sarda aprile 2016

L’Unione Sarda, aprile 2016

Il personaggio – A tu per tu con Claudio Fava vicepresidente della Commissione antimafia
“Così Riina jr si è candidato alla successione del padre”

“Nessuna intervista è inopportuna. La differenza la fanno le domande. Quelle che Vespa ha posto a Salvo Riina,
accettando di muoversi in un perimetro concordato, sono intollerabili: l’intervistato non solo era figlio del capomafia
Totò, ma a sua volta un mafioso”. Claudio Fava, vicepresidente della Commissione antimafia, giornalista, scrittore,
sceneggiatore, figlio di Pippo ucciso da Cosa Nostra nel 1984, ribadisce senza sfumature la condanna pronunciata
all’indomani della comparsata di Riina jr a “Porta a porta” su Raiuno. Occasione per tornare sull’argomento è la
riproposizione in Sardegna della pièce “Novantadue: Falcone e Borsellino, venti anni dopo” di cui Fava firma i testi.
Prodotta dalla compagnia cagliaritana BAM, da ieri – e fino a domenica – è in cartellone nei teatri del circuito Cedac.

Quali domande avrebbe posto a Riina jr?

“Avrei iniziato facendogli ascoltare le intercettazioni ambientali che lo riguardano. Passando in auto a Capaci insieme
con un compare che si lasciò andare in giudizi sprezzanti su Falcone e le vittime della strage. Esaltò il progetto criminale
di suo padre. Invece che permettergli di descrivere se stesso, Totò Riina e la mafia come un’accolita di benefattori, gli
avrei chiesto se si riconoscesse in quelle parole, se fosse un associato mafioso e come facesse a stare, nonostante
tutto, nei panni del ragazzo inconsapevole. Avrei insistito sul sistema di potere, protezione e denari di cui la sua famiglia
godeva. E domande non provocatorie, legittime e dovute”.

Qualche significato dà alla comparsata televisiva di Riina jr?

“Si è proposto come candidato alla successione del padre. ‘Sono pronto a fare la mia parte, i pentiti sono infami
traditori, la mafia non esiste’, ha voluto dire. Ha dimostrato che se deve affrontare un interrogatorio (l’intervista non
lo è stato), sa come fare. Grave che ci si sia prestati alla strumentalizzazione. Per un po’ di share in più e accettando
che venisse firmata la liberatoria, Vespa ha dato l’assenso affinché non si parlasse della condanna dell’interlocutore”.

La trasmissione ha distorto il passato e appannato il presente?

“La mafia è un’organizzazione criminale, finanziaria e sociale che ha instaurato con la politica un rapporto fatto di
puntuali e selezionate obbedienze. Non agita gli strumenti della violenza. È infida. I magistrati di Milano parlano di
imprenditori che cercano le famiglie mafiose perché hanno bisogno di denaro. La mafia si è adeguata ai tempi,
reagendo alle contromisure messe in campo dallo Stato e al nuovo impianto normativo e investigativo. Per ingenuità
o presunzione pensiamo abbia lo stesso volto del passato. La mafia di Matteo Messina Denaro non investe, come
invece facevano i corleonesi, in case e terreni, ma in fondi sovrani e aziende. La confisca dei beni, che colpisce un
tessuto economico da migliaia di posti di lavoro, pone lo Stato un livello di responsabilità superiore rispetto a 15 anni
fa”.

La risposta delle istituzioni è quindi inefficace?

“Le misure che hanno permesso di azzerare le gerarchie dei colonnelli mafiosi sono invecchiate. Fino a poco tempo fa
il reato di voto di scambio poteva essere contestato solo se veniva accertato il passaggio di denaro. Anche la misura
sanzionatoria dello scioglimento dei Consigli comunali si mostra inadeguata. La mafia si infiltra negli uffici passare per
sindaco e assessore. Entra in profondità nelle burocrazie amministrative!”.

Tornando alla tv, anche la fiction il “Capo dei capi” di cui lei scrisse la sceneggiatura fu accusata di mitizzare i boss
mafiosi.

“Il giornalismo è un’altra cosa. È testimonianza vera di un racconto. La fiction non ha il compito di educare una
comunità. La seduzione del male non passa per le serie tv o i romanzi. I ragazzi di “Gomorra”, per esempio, la subiscono
nella realtà, ai margini delle strade”.

Di Manuela Arca

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Novantadue – Giornale di Sicilia marzo 2016

Giornale di Sicilia marzo 2016

 

Falcone e Borsellino, quei giorni all’Asinara

Teatro. A Caltanissetta, Comiso e Messina in scena il testo di Fava, regia di Cotugno

 

Falcone e Borsellino erano due uomini soli, ma insieme superavano con forza ogni ostacolo. Il loro confronto, che non fu mai uno scontro, va in scena stasera alle 20.30 al Teatro Regina Margherita di Caltanissetta, per la stagione diretta da Moni Ovadia – e in replica, domani al Teatro Naselli di Comiso, da venerdì a domenica al Teatro Vittorio Emanuele di Messina – Novantadue. Falcone e Borsellino, 20 anni dopo, un testo inedito di Claudio Fava che racconta il cosiddetto “esilio” dell’Asinara: era il 1985 e i due giudici furono spediti di notte in Sardegna, nel carcere di massima sicurezza, per completare l’istruttoria del maxiprocesso. Era appena stato ucciso il capo della Mobile Ninni Cassarà e a Palermo le strade erano più sangue che asfalto. Falcone (interpretato da Filippo Dini) e Borsellino (il messinese Giovanni Moschella) siedono ad una scrivania sulla scena nuda. Due uomini che lavorano, chini sui loro fogli. Scrivono con la fretta di chi sa che quella è l’ultima notte prima di lasciare l’isola nella quale si sono ritirati per preparare l’atto d’accusa per il primo grande processo alla mafia. Un testo diretto dal regista Marcello Cotugno che spiega come “parlando di Falcone e Borsellino, la riflessione si allarghi sempre, riaprendo prepotentemente il filone di inchiesta della trattativa tra Stato e mafia, che non sembra risparmiare neppure le più alte cariche dello Stato. Sullo sfondo, la nostra Italia che in vent’anni, a ben guardare, considerando proiezioni e strane simmetrie, sembra uguale ad allora”. Novantadue è quindi una moderna tragedia classica, addirittura epica, consapevolmente eroica, dei suoi protagonisti. Non un testo di denuncia, ma il racconto di una doppia solitudine di due uomini che hanno paura di morire. Con Pierluigi Corallo, produce BAM Teatro.

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Novantadue – La Nuova Sardegna 16 aprile 2016

La Nuova Sardegna 16 aprile 2016

Tutti in piedi per Novantadue Solitudine di due eroi normali

Sassari, cinque minuti di applausi e standing ovation per il lavoro di Claudio Fava L’anno fatidico delle stragi di mafia nel racconto di Falcone e Borsellino all’Asinara

 

SASSARI. Due sedie, un tavolo, una macchina da scrivere, non c’è altro nella scenografia minimale di “Novantadue – Falcone e Borsellino 20 anni dopo” spettacolo scritto dal giornalista e scrittore catanese Claudio Fava. Presentata al Comunale, all’interno della rassegna Cedac, la piece è diretta da Marcello Cotugno per la messa in scena di BAM Teatro. Già coautore de “I cento passi” Fava propone una nuova riflessione poetica e cruda su una delle pagine più drammatiche della storia italiana.

Nessuna retorica nel raccontare la vicenda di due amici: Giovanni Falcone (Filippo Dini) e Paolo Borsellino (Giovanni Moschella) “reclusi all’Asinara” per scrivere la requisitoria del primo Maxi processo a Cosa Nostra. Uno detta e l’altro scrive a macchina, tra un caffè, una sigaretta, qualche battuta e quel fare da scherzosa presa in giro (alla Totò e Peppino) che spesso unisce gli amici di vecchia data. Amici che si conoscono da bambini, hanno studiato insieme e condiviso lo stesso ideale. Lo spettacolo li racconta così mentre il loro lavoro sta per concludersi e tra le centinaia di nomi, accuse, prove, testimoni che analizzano emerge anche la voglia di confrontarsi, di ricordare insieme come sono arrivati in quell’isola-carcere a rischiare la vita nella battaglia contro la mafia. Anche loro come tanti ragazzini siciliani erano cresciuti insieme ai figli dei mafiosi eppure era scattata in loro quella fiducia nella giustizia e nello stato, che li aveva sempre sostenuti, sino al 1992. Cronache di martiri e stragi annunciate si dipanano nello spettacolo che assorbe totalmente l’attenzione del pubblico in un crescendo di partecipazione collettiva e applausi a scena aperta ai due bravissimi interpreti Dini e Moschella così credibili da trasfigurarsi nei loro personaggi commuovendo la platea.

Nella messinscena intensa di Marcello Cotugno emerge così la tragedia moderna di due uomini comuni. Due volti entrati nel moderno mito ritornano in “Novantadue”: persone, ma questo non sminuisce la loro immagine mostra ancor meglio il loro eroismo. «La normalità è un desiderio onesto», dice Falcone nell’andare incontro alla morte con piena coscienza. In un’ora e mezzo di spettacolo il testo sferzante di Fava e la regia incalzante di Cotugno si legano perfettamente in un escalation di dialoghi. Accompagnato da luci stroboscopiche. Il tappeto sonoro lega insieme musiche elettroniche, loop sintetici, urla e voci sussurrate nelle elaborazioni melodiche di Hugo Race e del suo geniale “Merola Matrix”.

La solitudine dell’uomo normale che accetta l’eroismo come unica strada possibile è un fondale scuro illuminato da una luce scarna. La tragedia di un padre che rinuncia alla sua famiglia per un sogno ancora più grande è invece una partita a scacchi, continuamente interrotta dagli impegni di lavoro, che Borsellino gioca con il figlio. E basta poco: un uomo seduto su una sedia con accanto un microfono, per riprodurre l’immagine, cristallizzata nella memoria collettiva, del pentito di mafia nell’aula bunker. Riascoltare quelle verità terribili, biascicate con accento siciliano senza pudore né emozione resta sempre un pugno allo stomaco. A impersonare il male, che in questa storia ha tanti volti, è Pierluigi Corallo che con sorprendente duttilità interpreta sia il funzionario corrotto che il mafioso. E sono proprio le convergenze parallele della cosiddetta “trattativa” a trasformare l’onestà in tragedia, il coraggio in sacrificio vano.

In una delle scene più toccanti dello spettacolo ad urlare al pubblico la consapevolezza del loro martirio sull’altare di uno Stato corrotto sono i due giudici, in un’invettiva

di parole veloci scandite dal ritmo sincopato delle luci e della musica elettrica. Il pubblico nel finale applaude per 5 minuti gli artisti e li saluta con una emozionata standing ovation. Si replica stasera al Teatro Tonio Dei di Lanusei e domani al Comunale di San Gavino Monreale alle 21.

 

Di Monica Murtas

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Novantadue – La Stampa 7 marzo 2015

La Stampa – 3 luglio 2015

RECENSIONE di OSVALDO GUERRIERI
“Novantadue”, lo sguardo lucido e attento di uno spettacolo nobilmente civile.

Non è solo uno spettacolo nobilmente civile il “Novantadue – Falcone e Borsellino 20 anni dopo” in scena al Baretti fino a ieri. Ne è autore Claudio Fava, parlamentare eletto nelle liste di SEL, vice-presidente Commissione antimafia e figlio di Pippo Fava, giornalista assassinato nell’84 da Cosa Nostra a Catania. Claudio è convissuto e convive con la Mafia considerandola una ferita che non si sa ancora come rimarginare. E questo suo “Novantadue” ne è un frutto più amaro che aspro.
Porta in scena Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che nel ’92 pagarono con la vita la lotta contro il potere mafioso, ma non fa un altarino devozionale. Fava assume a pretesto la figura dei due giudici per condurre lo spettatore su un terreno più scivoloso. Racconta le vicende dei due procuratori antimafia e il loro capolavoro investigativo culminato con il primo maxi processo della storia, ma ci mostra anche lo scenario giuridico e politico di quegli anni, la svolta stragista dei Corleonesi, l’intreccio di interessi inconfessabili e accenna alla trattativa Stato-Mafia i cui contorni ci appaiono ancora così opachi.
Nello spettacolo diretto da Marcello Cotugno con una mano lodevolmente leggera, troviamo Falcone e Borsellino nel carcere dell’Asinara. Vi si sono rinchiusi per sfuggire alle pressioni esterne e per preparare il maxi processo di Palermo. Non vediamo due giudici, ma due uomini stanchi che possono anche avere paura e ironizzano che il giorno dopo, al momento di lasciare il penitenziario, dovranno pagare le consumazioni. Da qui in poi è tutto un franare di eventi, di situazioni, di congiure più o meno mascherate. Si profila il tentativo di neutralizzare il lavoro sempre più implacabile dei due donchisciotte. Per esempio con l’attentato dell’Addaura. Ma nella melma delle polemiche, Falcone e Borsellino ci appaiono quasi condannati al martirio di cui essi sono del tutto consapevoli. Uno spettacolo tutto di parola, dominato da una ammirevole sobrietà scenografica e da basse luci oblique. Ogni parola di Fava è un colpo contundente, ogni concetto è un colpo di frusta alle infinite ambiguità e ai cedimenti che hanno permesso a Cosa Nostra di diventare, in un certo momento, uno Stato nello Stato.
La partitura di Fava è affidata all’interpretazione di tre attori che i più significativi e più “in parte” non potrebbero essere. Falcone è Filippo Dini, Borsellino è Giovanni Moschella, sostituto di rango dell’indisposto Max Mazzotta. A Fabrizio Ferracane il compito del Jolly, ossia di interpretare più personaggi, quali un giudice ligio più alle conveniente politiche che allo spirito della legge, o un insignificante ma agghiacciante manovale della mafia. Il risultato è un turbamento profondo, che si scioglie soltanto alla fine in interminabili applausi liberatori.

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Novantadue – Unione Sarda intervista a Claudio Fava marzo 2015

L’unione Sarda – 18 marzo 2015

Su il sipario – Claudio Fava racconta Falcone e Borsellino. Vent’anni fa
Noi crediamo ancora nella coerenza della giustizia italiana
I giorni passati all’Asinara dai due magistrati impegnati a scrivere le sentenze dei 474 imputati al maxiprocesso diventano una pièce. Da oggi al Massimo di Cagliari.

Debutta stasera, al Massimo di Cagliari alle 20.30, “Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo”. Il lavoro, scritto da Claudio Fava e diretto da Marcello Cotugno, ricostruisce i giorni passati all’Asinara dai due magistrati impegnati a scrivere le sentenze che rinviavano a giudizio i quattrocentosettantaquattro imputati del maxiprocesso istruito al carcere dell’Ucciardone. Prodotto da BAM Teatro, lo spettacolo proposto dalla CeDac sarà in replica sino al 23 marzo. Nel cast, Filippo Dini, Giovanni Moschella e Fabrizio Ferracane. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano nati nello stesso quartiere, la Kalsa di Palermo e morirono lo stesso anno, il 1992, a distanza di pochi mesi. Falcone, in maggio, saltò in aria con la moglie Francesca Morvillo e la scorta, sulla strtada tra Punta Raisi e lo svincolo per Capaci. Guidava una Croma bianca, fatta a pezzi da 400 chili di tritolo. Paolo Borsellino morì a luglio, per un’altra carica di tritolo, mentre si recava a trovare sua madre. Medaglia d’oro al valor civile, per le due vittime della mafia.
Claudio Fava – giornalista, sceneggiatore e deputato – ha un tono amaro e calmo, nello spiegare la genesi di una messa in scena che ricostruisce un periodo “oscuro e terribile”.

Disse Giovanni Falcone: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà una fine”. Aveva torto?
“Era un uomo di grande saggezza e buon senso. E non era un pessimista. Ogni percorso vitale ha un suo ciclo destinato a esaurirsi, perciò la civiltà del diritto prevarrà. Quando, con quanta fatica e dolore, non lo sappiamo. Ma non bisogna cedere alla rassegnazione. Né crearsi un alibi pensando che nulla cambierà, né adeguarsi passivamente, nella convinzione che gli scenari rimarranno invariati”.

Per molto tempo, sul guardrail dell’autostrada tra Punta Raisi e Capaci, c’è stato un segno rosso. Servono a qualcosa, i simboli?
“Servono, purché non si deleghi a essi l’unica manifestazione di dissenso e di condanna. Troppi morti si sono tramutati in eroi. Bisogna dare risalto alla normalità delle loro condotte, alla normalità dei loro mestieri. Non bisogna considerarli eccezione”.

Oggi i due magistrati hanno piazze, scuole, monumenti, aeroporti dedicati a loro. Onori postumi per sgravare le coscienze?
“È giusto far vivere il loro nome nei luoghi, il pericolo è che il ricordo di ciò che hanno fatto si esaurisca nella celebrazione. Bisogna credere nella qualità delle leggi e nella coerenza della giustizia. Ciascuno deve fare la propria parte, esercitare un’azione, farsi rinfrancare da quegli esempi dolorosi e potenti”.

La memoria di quegli attentati, non gli unici ma tra i più sconvolgenti, sembra oggi essersi affievolita?
“In parte sì. La generazione attuale ne ha solo sentito parlare. Non sa molto di una strategia che voleva provocare una tensione emotiva. C’è stato un inabissamento della mafia che negli ultimi tempi ha scelto un basso profilo ma può alzare il tiro quando vuole. Il silenzio è provvisorio”.

Come ha adattato sul palcoscenico la cronaca di una vicenda così tragica e complessa?
“È stato facile, la forma teatrale si presta bene a raccontare morte, vita e solitudine senza cadere nella agiografia. Si può scegliere un passaggio di quelle esistenze per dare corpo, respiro e gesto alle persone. I due avevano caratteri complementari: uno sobrio e controllato, l’altro più passionale. S’incontrarono e s’intesero, divenendo amici, perché condividevano la stessa idea di giustizia”.

Alessandra Menesini

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Novantadue – La Nuova Sardegna 20 marzo 2015

La Nuova Sardegna – 20 marzo 2015

Novantadue, l’anno di Falcone e Borsellino
Intervista con Claudio Fava, il giornalista-scrittore autore dell’opera in scena fino a domenica al Teatro Massimo di Cagliari.

“Il 1992 è una data di inizio, di un punto di riferimento che segna non solo le vite di chi c’era ma anche di chi è nato dopo, e che a quell’anno deve fare riferimento” spiega Claudio Fava – autore di “Novantadue/Falcone e Borsellino, venti anni dopo” in scena al Teatro Massimo sino a domenica, – che oggi insieme agli interpreti dello spettacolo Filippo Dini, Giovanni Moschella e Fabrizio Ferracane, incontrerà il pubblico alle 17.30 al Cinema Odissea. Per il giornalista e scrittore il 1992 rappresenta uno spartiacque, un prima e un dopo. “Non penso solo alla stagione delle stragi di mafia – sottolinea Fava – ma anche al crollo verticale della prima Repubblica in seguito all’inchiesta di Mani Pulite, alla perdita di candore di un Paese in cui qualcuno pensava di essere un semplice spettatore. In quell’anno ci accorgemmo che non c’erano spazi di neutralità, nessuno poteva sentirsi forestiero rispetto al progetto eversivo di Cosa Nostra nel suo attacco diretto allo Stato, e rispetto all’involuzione profonda della politica”.
Nello spettacolo il dialogo fra Falcone e Borsellino inizia sette anni prima, nell’isola dell’Asinara, dove si ritirarono nell’agosto dell’85 per preparare l’istruttoria del Maxi Processo. “Mi piaceva costruire in questa pièce – racconta Fava – più che la progressione verso la morte, il racconto della vita, l’intensità di queste vite, la profonda amicizia che li legava. E la normalità di una quotidianità fatta di sentimenti che appartengono a tutti – dubbio, paura, passione, rabbia, solitudine. Per provare a restituire la dimensione della normalità, il modo in cui seppero affrontare ciò che accadde continuando a costruire fra loro questo sentimento di forte condivisione. Abbiamo in questi anni ricordato troppo la loro morte e abbiamo lasciato che sparisse la vita, le cose alte, profonde e “normali”, naturali della loro vita. Perché non ci sono soltanto le inchieste, ma anche la condizione quotidiana dell’esistenza. Averli considerati martiri, averli consegnati ad una mitologia lontana da noi, è stato un modo per lavarsene le mani e considerarci estranei. Nello spettacolo, nel sentirci parte della loro storia, alla fine respiriamo qualcosa in più dal punto di vista dei sentimenti, dei comportamenti, dei pensieri, delle parole private, quotidiane, che forse sono le più vere”.

Come ha trovato le parole per far dialogare Falcone e Borsellino?
“Con molta presunzione, facendo leva sull’unica cosa che davvero mi appartiene e che penso sia davvero il mio mestiere, che è la scrittura. Provando a interpretare pensieri, gesti, momenti di queste esistenze, restituendo loro fiato, azione, profondità. Intendo una presunzione necessaria dal punto di vista letterario, drammaturgico. In questo ti soccorre il fatto che racconti storie di cui hai dimestichezza, personaggi di cui in qualche modo conosci la fibra umana e non soltanto l’aspetto pubblico, ma quello più profondo e quotidiano”.
“Il momento della pièce che considero fra in più intensi – dice Fava – non è un’orazione, ma una lettera che Borsellino scrive ad una professoressa giustificandosi di non essere potuto andare nella scuola come promesso. Questa lettera la sta scrivendo la domenica in cui poi viene ucciso, l’ho recuperata casualmente anni dopo, attraverso il fratello. C’è l’assoluta verità della sua voce, e l’assoluta normalità di un uomo che poche ore prima di consegnarsi alla morte, vuole spiegare perché ha fatto il giudice. Perché pensa di essere in debito con quel mestiere, pensa che i suo figli e i figli di tutti sarebbero stati più fortunati perché avrebbero avuto più strumenti, più consapevolezza per combattere la mafia. È una coma molto bella e non è un atto giudiziario, ma un segmento privato che perciò diventa il segno pubblico di quell’esistenza”.

Nella lotto contro la mafia in quale sua parte si sente più utile, in quella di scrittore e sceneggiatore o in quella di parlamentare?
“So di dire una cosa di una certa gravità, ma secondo e nella scrittura. L’efficacia di una scrittura buona e non didascalica serve a questo Paese, per capire anche come aiutarci a sbarazzarci delle mafie. È una questione di resistenza civica e civile”.

Di Roberta Sanna

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Novantadue – Unione Sarda recensione 21 marzo 2015 Menesini

L’Unione Sarda – 21 marzo 2015

Teatro. Al Massimo “Falcone e Borsellino” di Fava
L’ultima notte dei due giudici

I faldoni sulla scrivania, una scacchiera, molte sigarette, molti caffè. Son in maglietta i due giudici, nell’ultima notte passata all’Asinara. Spulciano i nomi dei quattrocentosettantaquattro imputati del maxiprocesso istruito nel 1986 all’Ucciardone, lavorano e chiacchierano, scherzando in qualche momento, gli amici colleghi. “Novantadue. Falcone e Borsellino, venti anni dopo” è un testo di Claudio Fava messo inscena con la magistrale regia di Marcello Cotugno. Al Teatro Massimo, in uno spettacolo (repliche oggi e domani) prodotto da BAM Teatro e proposto dalla CeDac in collaborazione con XXXVII Cantiere Internazionale d’arte di Montepulciano e Festival L’Opera Galleggiante, si raccontano le vite e le morti di due magistrati che non volevano essere eroi. C’è lo smarrimento e il coraggio, nelle loro parole, i caratteri diversi, la fiducia, la delusione.. La coscienza, sepolta dentro il cuore eppure lucida, di essere in pericolo, di non poter contare davvero sulla protezione di quello stato di cui si dichiarano servitori.

Il talento degli interpreti trasforma il duro argomento in una narrazione che inchioda un pubblico attento come non mai. Fiulippo Dini nei panni di Giovanni Falcone, Giovanni Moschella in quelli di Paolo Borsellino, Fabrizio Ferracane nei molteplici ruoli del Consigliere Istruttore in doppiopetto grigio, del confidente, del mafioso che schiacciò il pulsante per far detonare il tritolo sullo svincolo di Capaci. Contenuti, intensi, bravissimi, in una recitazione che in pochi tratti delinea anche il lato privato di due persone divenute un simbolo della lotta alla mafia. Impianto scenico scarno, innesti musicali affilati, luci taglienti e improvvise per una narrazione che trova nell’inflessione siciliana degli attori un elemento di fondamentale verismo. Poco dopo la fine del processo, concluso con trecentosessanta condanne, “arrivarono nuovi comandanti e nuovi comandamenti” e il pool antimafia fu sciolto. Falcone e Borsellino giocavano insieme a calcio, quando erano ragazzini, e morirono a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. Le loro vicende, scrive Claudio Fava, “sono un pretesto per misurarci con il vero oggetto del conflitto: che è la verità. O meglio le molte idee di verità. Da una parte la verità nuda, assoluta, senza aggettivi; dall’altra una verità ufficiale, parziale, obbediente…”. Lo spettacolo non scioglie i dubbi, li rilancia.

Alessandra Menesini

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Novantadue – Adnkronos 27/04/2017

ADN KRONOS 27/04/2017

Al teatro Quarticciolo di Roma ‘Novantadue’, Falcone e Borsellino 25 anni dopo
Il testo di Fava in scena fino al 30 al Teatro Quarticciolo

Uomini, non icone. Questo il senso del racconto di “Novantadue – Falcone e Borsellino 25 anni dopo”, testo che per la prima volta approda a Roma, dove sarà in scena da domani e fino a domenica 30 al Teatro Quarticciolo di Roma. Con all’orizzonte il sacrificio dei due magistrati, ‘Novantadue’ – scritto da Claudio Fava, figlio di un’altra vittima illustre della mafia, ma anche intellettuale e politico che a questa battaglia ha dedicato la sua vita – punta a raccontare un momento chiave del percorso di Falcone e Borsellino, ovvero il periodo in cui i due nell’estate 1985 si ritrovarono all’Asinara per completare l’istruttoria del Maxi Processo.
Due uomini rinchiusi – a loro modo ‘prigionieri’ soprattutto del loro destino – nel carcere di massima sicurezza, inviati dal giudice Caponnetto, per garantire la loro incolumità, dopo l’omicidio del capo della squadra mobile di Palermo Ninni Cassarà.
Un testo – ha spiegato Fava – “per andare oltre il mito” di Falcone e Borsellino “raccontando la loro dimensione più autentica e quotidiana, che nulla toglie o sottrae alla loro battaglia ma li completa come esseri umani”.
Un lavoro che – sottolinea l’autore – “nasce dal desiderio di raccontare la dimensione umana di Falcone e Borsellino, fatta di vitalità, di solitudine, di senso profondo senso del dovere: un rapporto di amicizia che non può essere cristallizzato in un fermo immagine ma nasce da un’idea di militanza civile e umana di cui non sempre ci arriva tutto il senso e tutta la forza”.
L’atto unico, prodotto da Bam Teatro, è interpretato da Filippo Dini, Giovanni Moschella e Pierluigi Corallo, mentre la regia e l’adattamento sono di Marcello Cotugno che spiega come “una storia del genere non si può raccontare con la retorica e per questo il nostro spettacolo trova la sua cifra estetica nell’essenzialità, funzionale a uno scavo profondo nell’intimità di due esseri umani”.

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Novantadue – Repubblica.it 05/06/2017 recensione Giulia Sanzone

REPUBBLICA.IT 05/05/2017
Novantadue, falcone e borsellino, 20 anni dopo (g.s.)

“L’estate sta finendo…” gracchia una hit pop dell’85 alla radio, nell’ultima insonne notte di lavoro che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino trascorrono al riparo del carcere/isola dell’Asinara, intenti a preparare quell’inedito e celebre Maxi-processo che avrà il condannato intento di dichiarare guerra alla mafia. Nel corso della più imponente indagine sulla malavita della storia, i due “servitori dello Stato”, uniti da un profondo senso di rigore e giustizia, affogano nei posaceneri infinite sigarette, tra centinaia di faldoni e caffè, si stuzzicano con ironia, si danno coraggio. La forza espressiva degli interpreti – Filippo Dini e Giovanni Moschella – dirompe con potenza da una scenografia essenziale e fredda di ispirazione kantoriana: tra un tavolo e qualche sedia, una scacchiera e luci nude, dai black out della coscienza emergono anche confessioni, pensieri, paure, torbidi riflessi di quella solitudine che sarà presto un presagio di morte. Perché “a Palermo si muore quando si resta soli”.
Parte da qui Novantadue, il testo intenso e sentito di Claudio Fava, scandendo una vicenda umana e professionale nel confronto dialettico tra due magistrati (ma soprattutto tra due amici fraterni) che finalmente lasciano l’altare cristallizzato delle granitiche icone al quale sono stati immolati per tornare finalmente uomini.
La regia di Marcello Cotugno scava in questa dimensione umana, l’accompagna sulle note di Nils Frahm, Olafur Arnalds e Hugo Race in una corsa contro il tempo che troverà il triste finale nel fatidico anno “Novantadue” e nelle annunciate stragi di Capaci e via D’Amelio. Senza retorica si attraversano gli anni, gli ostracismi, i boicottaggi, gli avvertimenti, gli scontri con “il male” (magistrale la performance di Pierluigi Corallo, che interpreta killer e capi mafia dal catenazzo d’oro, ma anche corrotti di Stato e commissari generali in giacca e cravatta), all’ombra di un’inquietante e accomodante zona grigia rappresentata da una trattativa infame che sa di tritolo.

Giulia Sanzone
Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma, 30 aprile 2017

NOVANTADUE: FALCONE E BORSELLINO, 20 ANNI DOPO
di Claudio Fava
regia Marcello Cotugno
con Filippo Dini, Giovanni Moschella, Pierluigi Corallo
produzione BAM Teatro

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Novantadue – Il Manifesto 06/05/2017 recensione Gianfranco Capitta

IL MANIFESTO 06/05/2017
“Novantadue: Falcone e Borsellino 20 anni dopo” in scena il testo di Claudio Fava
Per la regia di Marcello Cotugno, una possibile lettura degli intrecci tra mafia e Stato
1992, il crimine si fa sistema. Cronache da un oscuro passato
Filippo Dini e Giovanni Moschella nei panni dei due magistrati
Di Gianfranco Capitta – Roma

Claudio Fava aveva scritto questo testo cinque anni fa, a vent’anni da quel buio 1992, anno in cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono fatti saltare in aria, a poche settimane di distanza l’uno dall’altro. Oggi che la ricorrenza è al quarto di secolo, risulta sempre bruciante, e per alcuni versi ancora più amaro. Perché nel frattempo le informazioni e i retroscena, e in qualche modo l’intera coscienza nazionale, sono cresciuti. E molti aspetti sono stati acquisiti quanto a intreccio tra criminali decisioni e responsabilità mafiose e esponenti ed apparati dello stato: connivenze e convergenze di interessi e comportamenti, che stabiliscono di fatto complicità ormai non più inconfessabili.
“Novantadue: Falcone e Borsellino, 20 anni dopo” sarebbe quindi uno spettacolo da mostrare alle scuole, possibile chiave di lettura per gli studenti di quella storia recente, e fondativa dell’oggi, che ancora è tenuta ben fuori dei programmi scolastici ministeriali. A Roma lo si è visto per poche sere al Teatro biblioteca Quarticciolo, per la regia di Marcello Cotugno e con tre attori di livello, in grado non solo di avvincere gli spettatori, ma di insinuare in ciascuno la consapevolezza di una trama e di una criminosità che si allarga e fa sistema, appena sotto una fragile crosta di democrazia.
Falcone e Borsellino scoprono perfino una carica di umana simpatia sotto la coscienza tragica del lavoro che vanno compiendo, mentre smontano finte certezze e trasgressioni abissali, quasi che l’orrore su cui vanno indagando (e che avvicina anche loro alla morte, come in una tragedia classica) li renda per necessità spiritosi e sodali, in grado perfino di ridere e scherzare delle proprie umanissime debolezze, che da una birra si spingono a un piccolo sostegno superalcolico.
Perché il primo momento in cui incontriamo in scena i due magistrati, si svolge all’Asinara, dove furono segregati con le loro famiglie per scrivere al riparo da attentati la famosa requisitoria di ottomila pagine per il maxiprocesso nell’aula bunker palermitana. Ma quel primo momento di ilare alacrità è presto dissolto dal successivo, quando a Falcone fu negata la promozione a capo della procura palermitana con la scusa tutta formale che Antonino Meli aveva una maggiore anzianità di servizio, a dispetto del lavoro effettivo svolto fino a quel momento. Lo spettacolo ha il pregio raro di scandire in tempi fulminanti il racconto, la successione della cronaca, senza che se ne perdano o impallidiscano le ragioni, gli interessi e gli snodi. In un impianto spoglio ma non povero, nella migliore tradizione del teatro civile o politico. Merito anche degli attori, sicuri senza essere saccenti o peggio didascalici, ma sempre in grado di riempire di umanità anche le parole più dure o minacciose (per chi ascolta).
Filippo Dini (ormai uno degli attori migliori della sua generazione) impersona Falcone, Giovanni Moschella dà voce e tensione a Borsellino; Pierluigi Corallo, ricco dei suoi trascorsi con Castri e con Ronconi, dà vita, come in un teatro orientale, a tutti i personaggi dei “cattivi” che contro i due magistrati lavoravano. Non si esce allegri dalla serata, ma certo con la consolazione di una minima chiarezza su qualche passaggio oscuro del nostro recente passato.

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