Noccioline

 

NOCCIOLINE
Di Fausto Paravidino
Testo scritto su commissione del Royal National Theatre of London nell’ambito del progetto “International Connections 2001”

Con (in ordine alfabetico) Elena Arvigo, Alessia Belotto, Luigi Di Pietro, Denis Fasolo, Iris Fusetti, Aram Kian, Mauro Parrinello, Fulvio Pepe, Alba Rohrwacher, Roberta Rovelli, Michele Sinisi
Scene di Antonio Panzuto
Costumi di  Sandra Cardini
Luci di Pasquale Mari
Foto di Marcello Norbert
Regia di Valerio Binasco
Produzione Teatro Eliseo/BAM Teatro
In collaborazione con Fondazione Teatro Due di Parma Teatro Stabile di Parma e Reggio Emilia
Migliore pièce straniera per la stagione 2002-03 dalla rivista Theater Heute

Debutto nazionale Asti Teatro XXIX, 11 luglio 2007

 

Da tempo desidero lavorare in teatro con Paravidino, su un suo testo e possibilmente con lui come interprete.
Si sono presentate alcune occasioni, in passato, ma per vari motivi siamo riusciti a fare insieme ‘solo’ il suo film, Texas, con i nostri ruoli rovesciati: lui regista e io interprete.
Questa volta collaboreremo alla messa in scena, ma non credo di poterlo avere nel cast, perché sarà impegnato in un’altra produzione.
Peccato, perché la qualità principale degli attori impegnati a fare Peanuts (Noccioline) credo debba essere l’intelligenza. Quella caustica intelligenza dall’espressività sottrattiva, paradossalmente un po’ brechtiana e un po’ pinteriana, che è molto difficile trovare nei giovani attori, di solito giustamente impegnati a tirar fuori da sé il massimo della passione possibile, o della tecnica, così come chiedono loro quasi tutti i registi.

Peanuts (d’ora in poi lo chiamerò così, come le strips di Schultz) è un testo politico.
È stato scritto quasi di getto all’indomani dei fatti del G8 di Genova, e credo nasconda dentro una grande rabbia. Quasi tutti i ragazzi in quei giorni hanno visto e (non) capito cose terribili, che sembravano impossibili nei giorni in cui si sperimentava per le strade di tutto il globo l’auspicio per “un mondo diverso”, e le sue possibilità politiche concrete.
E in quei giorni Paravidino era un ragazzo. Lo è ancora oggi, quindi allora era qualcosa di più di un ragazzino.
Credo che per i più giovani la reazione durissima del potere sia stato uno spettacolo cui non erano preparati. Non sono i giovani degli anni settanta, cresciuti nelle lotte (anche goliardiche talvolta) di un decennio di spettacolarizzazione del dissenso, etc…
Peanuts nasce da quello choc. Lo choc fu di due tipi: uno umano (vedere la violenza e l’ingiustizia come fossero cose naturali e accettate da tutti…) e l’altro politico (capire che un mondo diverso NON è possibile). Eppure Peanuts non è un testo ‘arrabbiato’, o di denuncia.
È, lo ripeto, un testo politico. Ma è, pur nella sconfortante tesi che lo ispira (che un mondo diverso FORSE non è possibile), anche una commedia divertente. Ed è un testo che ha alcune intuizioni geniali, perché pur essendo brechtiano, non chiede ai personaggi di fare proclami o agnizioni ideologiche.
Chiede ai personaggi di essere dei semplici ragazzini, cinicamente ignari di tutto e di tutti, così come essi ci paiono nella realtà e così come la società, nella sua quotidianità gentilmente repressiva, vuole che siano. Chiede ai personaggi di portarsi dentro quel tanto di infanzia che permetta loro di sentirsi innocenti sempre, anche mentre commettono soprusi. I piccoli soprusi che i ragazzi si fanno tra loro, come allenandosi a un domani spietato. I piccoli soprusi che, visti nella prospettiva della politica globalizzata, divengono delle divertenti metafore. Paravidino usa i titoli delle singole scene come cartelli brechtiani. La colletta per comprare coca cola e pizza, diviene metafora dichiarata della spartizione della ricchezza del pianeta. L’intrusione di ospiti in una casa privata allude a migrazioni e invasioni e colonizzazioni contemporanee, e l’effetto divertente (seppure caustico, come il senso del comico dell’autore) è che non si capisce più chi ha ragione e chi ha torto.
Dopo un po’credo ci sembri che tutti abbiano torto. O un torto ‘umano’, o un torto ‘politico’. Fin tanto che perdurerà la separazione tra le due parole. E perdurerà fin tanto che il mondo resta così. Ma un mondo diverso FORSE non è possibile.
Nella seconda parte del testo il clima generale apparentemente cambia. Non siamo più dentro a una metafora divertente, ispirata agli innocenti e involontariamente saggi bambini di Shultz, ma precipitiamo in una realtà possibile. In un ‘mondo diverso’, finalmente. Sì. Peggiore.
In un mondo appena un po’ diverso da questo, ma nel quale la separazione tra i nuovi Vincitori e Vinti si è fatta più netta. Impressiona che essere vittime o carnefici sia diventato una specie di mestiere. Ci si assume il proprio destino, da una parte o dall’altra, con grande pazienza. Con professionale freddezza. L’effetto probabilmente è quello di una comica crudeltà.

I personaggi sono quelli di prima, ma sono cresciuti di dieci anni, dieci terribili anni in cui ciò che sembrava metafora nei loro comportamenti nelle loro dinamiche private, si è avverato come un incubo. Ma l’autore ha un rapporto con l’incubo tutto suo. Non c’è mai orrore. C’è uno strano tempo sospeso dove sopravvivono misteriosamente il senso dell’umorismo e le relazioni umane, anche se la ‘vita’ se ne è andata per sempre. Il fatto che questi fantasmi siano giovani, vivi, e che abbiano senso dell’umorismo è uno degli effetti più sconvolgenti della lettura del testo.
Vorrei sottolineare che è un testo molto divertente, e lo è perché i suoi temi principali, che sono la politica e la rabbia, passano in secondo piano rispetto allo stile, che è quasi quello della sit-com.
Si potrebbero addirittura inserire le risate finte della televisione, e nessuno penserebbe a un azzardo registico (a parte il regista, che infatti non lo farà…)

Perché un testo così ricco di finezze interpretative possa giungere alla sua naturale destinazione, cioè al pubblico, e divertirlo, credo che occorrano attori che abbiano due caratteristiche irrinunciabili
Una è più facile ed è quella relativa alla loro età: devono avere più o meno trenta anni, o dai venticinque in su, e devono esser scelti tra quelli dall’aspetto infantile (in modo che possano fare sia gli adolescenti della prima parte che i giovani uomini della seconda); l’altra è un po’ più difficile ed è quella relativa al loro talento, perché devono essere davvero bravi, e anche adatti a questo tipo di scrittura tutt’altro che ‘generazionale’ a dispetto delle apparenze.

Bene. Detto ciò vorrei chiarire una importante questione: mettere insieme un gruppo di attori giovani, farli lavorare su un testo contemporaneo scritto da un giovane, il quale affronta tematiche moderne e adopera uno stile ‘narrativo’ originale, affidare il tutto a un regista non ancora completamente ‘istituzionalizzato’ ci espone al rischio di ‘operazione culturale’. Ci può confinare nel limbo dei buoni tentativi, come sempre accade con le ‘compagnie dei giovani’, o con le sperimentazioni inserite – a forza- in abbonamento, mal tollerate e mal capite. Occorre a mio parere non puntare solo sul pubblico giovane, giovanile o giovanilista, o rivolgerci a spettatori di nicchia, interessati alla drammaturgia contemporanea e più o meno preparati; ma dobbiamo passare ‘l’esame’ di un pubblico adulto e normale.
Dobbiamo fare il nostro mestiere di teatranti che consiste semplicemente nel creare spettacoli, prima che ‘operazioni culturali’. Per fare ciò dovremo portare in scena attori bravissimi. E questo potrebbe già essere un piccolo evento. Una buona partenza.

Considero produttivamente e complessivamente “Noccioline” una scommessa coraggiosa
Credo che una scommessa di questo genere sull’ autore Paravidino e sul teatro DAVVERO contemporaneo, cioè l’antica arte della commedia secondo l’arte di percepire il presente in cui viviamo, non sia stata ancora stata fatta, e sono certo potrebbe dare risultati sorprendenti, anche nella lunga durata e nell’apertura a un circuito europeo, di solito più sensibile alle proposte dei giovani drammaturghi che non il nostro sfiduciato, non più simpatico, ma per questo anche più caro, Paese…

Valerio Binasco

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