Novantadue – La Repubblica 01/05/2018 presentazione Rodolfo Di Giammarco

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  • Ultimo aggiornamento 11 Maggio 2018

Novantadue - La Repubblica 01/05/2018 presentazione Rodolfo Di Giammarco

La Repubblica – 1° maggio 2018

Falcone e Borsellino in un “Novantadue” che arriva fino a noi

Rodolfo Di Giammarco

 

Due uomini lavorano chini sui fogli, è l’ultima notte trascorsa al riparo del carcere dell’Asinara, lontani da sguardi, domande, minacce. Stanno concludendo il lavoro di una vita, l’atto di accusa per il primo grande processo alla mafia. Sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due amici che condividono ideali, rabbie, paure. Li aspetta una guerra lì fuori, in un’aula bunker per 474 imputati, con ricostruzione di venti anni di crimini, violenze e corruzioni in una struttura accanto al carcere dell’Ucciardone. La sentenza della Corte di Cassazione, emessa nel gennaio 1992, che doveva essere una pietra tombale sulla mafia, fa capire bene il titolo del lavoro, “Novantadue”, che Claudio Fava ha scritto su quella memorabile messa sotto accusa di Cosa Nostra. Il testo da domani al Piccolo Eliseo, con protagonisti Filippo Dini (nei panni di Falcone), Giovanni Moschella ( nel ruolo di Borsellino) e Pierluigi Corallo (nelle parti di consiglieri e mafiosi, tra cui Vincenzo Calcara, il pentito che avrebbe dovuto uccidere Borsellino), è messo in scena dal regista Marcello Cotugno, per BAM Teatro.

Il racconto di Novantadue si dilata, lo sguardo di Fava scorre verso altri tempi, incontra le cose che si verificheranno in seguito, senza però accontentarsi delle verità che la storia ufficiale ci ha confezionato: da una parte gli eroi, i servitori dello Stato; dall’altra gli assassini mafiosi; e in mezzo, ipocritamente, il niente. L’autore non ingessa i due giudici in una dimensione di ricordo, ma li evoca e li coinvolge tra noi, in un tempo presente. Condannati a vivere, Falcone e Borsellino ripensano alle cose accadute, ascoltano gli altri, osservano le cose torbide che sono emerse col senno co con la dissennatezza di poi.

“Le omissioni, le complicità, i silenzi e le viltà che si sono accumulate da allora ai nostri giorni -  spiega Claudio Fava – sono un elenco di peccati innominabili, e ormai sappiamo che tra i rappresentanti dello Stato ammazzati e la follia omicida di Cosa Nostra, si sono mossi pezzi delle istituzioni, uomini dei servizi, ufficiali dei corpi speciali, funzionari pubblici e depistatori di professione. La condanna a morte era stata decretata non solo per volontà dei Corleonesi ma anche per scelta di una parte di quello Stato che i due magistrati credevano di servire e di tutelare”. La conseguenza è ce il teatro contemporaneo darà voce anche al mafioso killer che non obbedisce, deluso, annoiato dalle liturgie, dalle mezze verità, o farà parlare il Consigliere opaco

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