Novantadue – Il Mattino marzo 2016

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  • Data di creazione 14 Marzo 2017
  • Ultimo aggiornamento 14 Marzo 2017

Novantadue - Il Mattino marzo 2016

Il Mattino, 15 marzo 2016

Fava al Bellini
“Falcone e borsellino uomini non eroi”

Eroi moderni e classici al tempo stesso per la dimensione epica che anno assunto nel tempo, raccontati nella loro
solitudine e umanità, al di là del mito. Sono Giovanni falcone e Paolo Borsellino, i giudici assassinati da Cosa Nostra a
pochi mesi di distanza nel 1992 nelle stragi di Capaci e via D’Amelio a Palermo, protagonisti dello spettacolo che
approda questa sera al Piccolo Bellini, “Novantadue: Falcone e Borsellino, 20 anni dopo”. Regia di Marcello Cotugno,
Filippo Dini è Falcone, Giovanni Moschella Borsellino, Pierluigi Corallo veste i panni di un mafioso e di un consigliere
istruttore, il doppio volto del male. Il testo è firmato dal giornalista e scrittore e politico catanese Claudio Fava che
scava nell’intimità di due esseri umani, rappresentandoli al di fuori di ogni retorica nella loro ultima notte all’Asinara
nell’estate del 1985 dove furono inviati per completare gli atti finali del maxi processo contro la criminalità organizzata.
Fava, come porta a teatro la stagione delle stragi?
“Il testo non vuole raccontare delle stragi ma di tutto cioè che è rimasto sempre tra le righe nella storia umana di
Falcone e Borsellino, la loro amicizia, la solitudine, ma anche l’allegria e la voglia di vivere che avevano. Lo spettacolo
nasce dal bisogno di raccontare non eroi, ma amici che condividevano un senso viscerale del lavorare insieme. Si apre
con il racconto abbastanza divertito e paradossale della loro ultima notte all’Asinara. Le stragi restano sullo sfondo”.
Punta a sensibilizzare sul tema della mafia?
“Sì, ma senza essere didascalico né pedagogico. A teatro si chiede a chi ascolta di fare la propria parte, di essere
sollecitati non educati, e agli attori viene chiesto di mettere in gioco la loro anima ma la pedagogia va fatta altrove”.
Falcone e Borsellino sono riportati in un tempo presente?
“tornano a essere persone e si raccontano senza accenno a eroismi. È un inno alla normalità ma rappresenta ma
rappresenta anche la raggia che sta dietro all’allegria estrema, al senso di ironia e a tutte le altre componenti umane
che appartenevano a magistrati come loro, trasformati in icone ma attraversati da una profonda solitudine”.
Lei ha sceneggiato anche “I cento passi” sulla vicenda di Peppino Impastato, nel 2000. Un film che ebbe un forte
impatto emotivo sul pubblico, allargando l’attenzione ai temi della legalità. Oggi è ancora così?
“Sì, c’è interesse per questi temi anche se ogni tanto rischia di essere ammorbidito, non ci sono le grandi tensioni
drammatiche di anni fa ed è un errore. Bisogna tenere alta l’attenzione, e anche quando le mafie apparentemente
tacciono, non bisogna smettere di raccontare”.
Di Ida Palisi

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